venerdì 9 aprile 2010

di sola sabbia e vento

Spesso non ci rendiamo conto di quello che abbiamo, di quello che reputiamo indispensabile e che fino a qualche anno fa sarebbe rimasto nella nicchia del superfluo, consideriamo tutto come priorità senza comprendere cosa lo sia davvero.
Il mio viaggio oramai è iniziato da un paio di giorni, abbiamo oltrepassato il Cairo nella giornata di ieri, città viva e malata quanto poche al mondo, distesa di case e di corpi, piccoli frammenti della stessa povertà.
Povertà testimoniata da chilometri e chilometri di case ancora in costruzione, solcate unicamente da strade in cui l’asfalto è solo un vecchio ricordo – si costruisce fino a che ci sono soldi – mi dicono – quando i soldi sono finiti la casa rimane così, quando mio figlio si sposerà allora ci penseremo – e mentre sento queste parole la polvere e l'inquinamento mi chiudono il naso cancellando qualunque altra possibilità di odore.
Viaggiamo per ore, seguiamo la costa fino a El Alamain, solo pochi chilometri prima di scendere verso sud, nella depressione di Qattara, mille chilometri e un’intera giornata di viaggio per raggiungere Siwa, oasi sul confine libico, ultimo punto civilizzato alle porte del Sahara, ad un passo dalle vie dei nuovi schiavi e dei vecchi briganti, campo base per la missione scientifica che fotograferò.
Qui la Natura ce la mette tutta per non lasciarsi morire e così è per le piante come per gli uomini, sembra incredibile vedere, in questa vastità senza scopo, figure lontane che, lievi come anime perse, vagano verso l’unica grande strada che taglia questo deserto.
Sparsi qua e là resti dei vecchi e dei nuovi eserciti, qui il tempo non è altro che il susseguirsi dello stesso attimo e così ti capita di trovare perse nella polvere scatolette arrugginite insieme a qualche resto meccanico e bossoli di mortaio.
Povera gente che vive di latte e poco altro, in questo luogo il ricco è chi ha una capra, e il povero è colui che muore.
La sera è fredda come mai ci si aspetterebbe, ti ammanta in un istante facendoti sentire tutto il suo abbraccio; dopo aver cenato ci troviamo a sentire la gente che esce a bere il Chai ed i bambini che giocano insieme ai genitori con palloni talmente vecchi da far pensare alle ultime guerre.
Il pensiero che ci attraversa la mente arriva rapido fino alle labbra – ma in Italia si gioca ancora così? – gente due passi oltre la fame che vive senza la paura del domani, perché il domani non c’è, è solo illusione, non c’è pretesa di miglioramento nei loro sguardi – stasera abbiamo mangiato, cos’altro ci serve? – e così, in un luogo in cui vivi di sola sabbia e vento, se nasci fabbro vivrai da fabbro, se nasci mercante vivrai da mercante, ma sicuramente vedrai solo casa tua, non esiste ciò che non conosci e davanti a una pozza d’acqua avrai negli occhi il coraggio e la sicurezza di affermare – …questo è il paradiso… – .

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